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  • 194 anni son trascorsi da qaundo Leopardi scrisse" Discorso sopra lo stato presente degli Italiani"-un approccio leopardiano per costruire una morale laica.

    22/05/2018

     Leopardi denunciava l'assenza di quei legami che fanno di una somma d'individui una «società civile», fondata non solo sulla legge ma sulla responsabilità della convivenza civile. Nonostante l'aspro giudizio sugli italiani, Leopardi condivideva gli ideali risorgimentali, come dimostrano le due canzoni civili: All'Italia e Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze.

    Aalla base del discorso leopardiano, scritto nel 1824, sta la radicata convinzione che i popoli antichi erano superiori (e più felici) rispetto a quelli moderni. E ciò perché la civiltà ha distrutto le basi stesse della morale, e di conseguenza è preferibile una civiltà «media» che una evoluta. Perché il progresso (o meglio il pensiero filosofico e scientifico che ne sono la causa) distruggono la sorgente della sola felicità possibile che consiste nell’immaginazione. E ora tra i popoli europei quelli settentrionali si rivelano superiori in tutto (e non solo nella letteratura e nel pensiero filosofico) perché in loro è più fervida l’immaginazione. «L’unione della civiltà con l’immaginazione è lo stato degli antichi»: in questa frase del saggio leopardiano c’è, per dirla manzonianamente, il «sugo della storia». Detto in altri termini, la filosofia (e la civiltà che essa ha prodotto, specie quella dei lumi) ha messo sotto gli occhi di tutti con tragica evidenza l’infelicità irrimediabile dell’uomo. Solo le illusioni che nascono dalla fantasia e dall’immaginazione sono in grado di rendere l’uomo, non diremo felice, ma meno infelice, cioè di alleviare la sua tristezza metafisica. E’ chiaro che Leopardi, pur partendo da premesse illuministiche (e quindi sensiste e infine materialistiche), sviluppa poi un discorso contro la civiltà dei lumi, esaltando non la ragione, ma, romanticamente, la fantasia, come affermerà a più chiare lettere altrove e anche in poesia («A noi ti vieta/ il vero appena è giunto,/ o caro immaginar;/[…] allo stupendo/ poter tuo primo ne sottraggon gli anni;/ e il conforto perì dei nostri affanni.», Ad Angelo Mai, v.100-105). E anche qui, come spesso accade nel grande Poeta, ritornano i miti e i motivi fondamentali della sua speculazione e la disperata battaglia contro ciò che aggrava il desolato destino dell’umanità sulla terra.

    Ma il Discorso sui costumi è anche e soprattutto un approccio leopardiano per costruire una morale laica. Il Poeta tenta di mettere in piedi un’etica, fondata sull’onore, o meglio sullo «spirito di onore», anche se sa bene quanto sia fragile questo fondamento (e lo riconosce apertamente). Leopardi è ormai lontano dalla fede cristiana. E sente che «la morale […] è distrutta, e non è credibile che ella possa risorgere per ora, né chi sa fino a quando, e non se ne vede il modo». Ma, secondo il Poeta, le cause del male e dell’immoralità starebbero nella disperazione che nasce dalla coscienza della vanità delle cose e dall’inutilità della vita. Certo anche nel Discorso ricorrono con frequenza i ben noti temi leopardiani (caduta delle illusioni, vanità del tutto…), ma il Poeta si cimenta in un tentativo disperato per ritrovare le basi di una convivenza possibile, pur nell’orizzonte desolato di un mondo privo di Dio e dei valori che a quella fede erano legati. E lo fa affrontando un impegnativo discorso politico sulla situazione italiana, sulla psicologia di un paese profondamente diviso, ma in cui tuttavia avverte dei «fratelli» («perché dovrò io parlare in cerimonia alla mia propria nazione, cioè quasi alla mia famiglia e a miei fratelli?»). E non sarà un caso se il termine «fratelli» ricorre ben due volte nel Discorso. Di discorsi «politici» Leopardi ne ha affrontati o avviati parecchi nel suo Zibaldone di pensieri. Ma quelle erano le pagine di un diario segreto, di un «giornale dell’anima» non destinato, almeno così com’era, alla pubblicazione. Mentre le idee che il Poeta esprime nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani rivelano un impegno ben altrimenti costruttivo rispetto alle pagine satiriche della Batracomiomachia (dove non si salva nulla e nessuno) o a quelle stravolte dei Pensieri (dove la crudezza polemica non apre possibilità di dialogo, ma lo nega in partenza). Qui invece si respira già l’aria della Ginestra (1836), si avverte lo stesso spirito di fratellanza universale (quello che ci fa capire di quali aperture fosse capace Leopardi, senza i condizionamenti dovuti a un’infelice situazione storica e sociale). L’analisi leopardiana è spietatamente lucida. L’Italia è un paese dove non si conversa o si discute pacatamente, ma si schernisce l’interlocutore; un paese in cui non si gareggia per l’onore, e da uomini di onore, ma ci si combatte all’ultimo sangue. L’Italia è una terra dove non c’è convivenza civile, ma forzata; una società in cui ci si sbrana anziché collaborare al bene comune; un paese senza amor patrio, dove lo scherno dell’avversario prevale su tutto. L’autore vede ben al di là dei facili patriottismi e delle euforie risorgimentali, quando sente che nella penisola mancano quei legami che fanno di una collettività una «società stretta» e una «società buona», cioè un popolo di «fratelli», dove sarebbe possibile una morale universalmente valida, fondata non sulla legge (perché è una base poco solida la paura delle pene minacciate da un codice), ma sul senso dell’onore che indurrebbe a fare il bene per meritare il plauso e a fuggire il male per non incorrere nel disonore. Questo è tuttora il paese di cui parla Leopardi. Da ciò la terribile attualità di questo Discorso sui costumi degl’italiani, a due secoli dalla nascita del Poeta.. (Zorzi, 4h)

     

    pubblicato da

    http://www.marcopolovr.gov.it/risorgimento/contesto%20letterario/discorso_leopardi.htm

     

    segue Testo integrale e note

     

    Discorso sui costumi degl'italiani

    http://www.filosofico.net/leopdiscitalintero.htm

     

     

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